Titta Varanelli, brigante per caso

Il 22 ottobre di 151 anni fa ebbe fine la breve vita di Gianbattista Varanelli. Aveva solo 21 anni.  Come lui, tanti giovani meridionali sono passati alla storia come briganti. Una vita, quella del brigante, intrapresa un po’ per scelta un po’ per costrizione.

MicheleSiamo all’indomani dell’annessione del meridione al Regno d’Italia. All’iniziale entusiasmo per l’unità seguì presto una grande delusione per i popoli meridionali. Essi sentirono da subito il peso del dominio piemontese fatto di tasse e del progressivo smantellamento dell’industria in tutto l’ex Regno delle Due Sicilie. Le mancate riforme, soprattutto quella agraria, e il mantenimento della ricchezza e dei privilegi nella mani dei solti noti contribuirono alla nascita di un sentimento ostile nei confronti dei piemontesi che alimentò movimenti di protesta. I meridionali presero coscienza  della nuova loro condizione di popolo sconfitto e sottomesso, costretto a pagare  per una guerra mai dichiarata. La feroce repressione di ogni forma di protesta portò ben presto alla nascita di forme di resistenza armata che  diedero vita al fenomeno del brigantaggio. Organizzato intorno a ex ufficiali e soldati sbandati dell’esercito borbonico, richiamò nelle sue file tutti i “delusi”, uomini e donne di ogni età spinti dalla loro precaria situazione sociale ed economica. Molti giovani preferirono unirsi  ai “fratelli” briganti piuttosto che dare cinque anni della loro vita al servizio di leva imposto dal governo piemontese. E’ in questo contesto che nacque il fenomeno del brigantaggio, salutato da molti come forma di riscatto, libertà e autonomia.  In un meridione distrutto a livello economico e sociale dai conquistatori i briganti si distinsero per atti eroici di resistenza nei confronti dei piemontesi, ma anche per gravi delitti vero gli stessi meridionali. Sono stati numerosi gli atti di vendetta verso i signori locali e gli uomini al loro servizio. Molti approfittarono del loro stato di “brigante” per portate a termine vendette verso autorità e rappresentanti delle istituzioni.

È in questo contesto che si inserisce la storia di Gianbattista Varanelli, detto “Titta”, “Tittarello” o “Fittariello”.

Era nato a Celenza Valfortore il 24 febbraio 1842 da Domenico e Angela Cioccia in una casa nell’attuale Via Indipendenza, successivamente destinata a diventare sede della locale farmacia.

Insieme al padre lavorava alle dipendenze di Giuseppe Di Iorio come “vaccaro”. All’età di 19 anni l’episodio che segnò il suo destino. La sera del 20 maggio 1861 lui e il suo amico  Michelangelo Ambrosiano incontrarono, nelle vicinanze della Chiesa di San Michele, il loro coetaneo Vincenzo Montagano, detto “Guagniò”, con cui si intrattennero a discutere. In breve la discussione degenerò in rissa in cui il Montagano ebbe la peggio. Mentre il Vararelli lo teneva fermo l’Ambrosiano lo colpiva ripetutamente con un coltello.

Resosi conto della gravità dell’atto i due si diedero alla fuga lasciando il giovane gravemente ferito a terra. Sopraggiunta una pattuglia della guardia nazionale, il giovane dichiarò al graduato di aver riconosciuto nel  Varanelli  l’autore del gesto. Trasportato a casa il giovane mori per dissanguamento alle ore 23.00.  La notizia dell’aggressione e del presunto responsabile si diffuse in un attimo nel paese. Il Varanelli, per essere ormai ricercato come l’assassino del giovane Montagano, cercò aiuto e conforto dal suo padrone. Recatosi a casa di questi fu aperto dal fratello, il sacerdote don Luigi Di Iorio, a cui raccontò lo svolgimento dei fatti. Resosi conto della sorte che l’aspettava, perchè  non sarebbe mai riuscito a dimostrare la verità , decise di non consegnarsi alle forze dell’ordine, ma di darsi alla fuga e diventare brigante. Ricevuta la benedizione del parroco, sellò un cavallo e raggiunse il padre presso il bosco Puzzano. Ricevuta la benedizione paterna si diede alla macchia unendosi ai briganti che popolavano la zona.

Nei giorni e nei mesi successivi cercò di formare un propria banda e a tale scopo convinse otto giovani celenzani ad unirsi a lui: Antonio Varanelli  (detto “Fraschente”), Francesco Celozzi, Gennaro Simonelli, Giovanni Montagano (detto “Manfriccho”), Giuseppe Laccone (detto “Ciaferro”), Michele Perrella (detto “Miano”) e Pasquale D’Agostino-De Cosmo (detto “Ciurlitto”).

caruso

Iniziò così la vita avventurosa della banda di Titta Varanelli. Da sola o insieme alle bande di Michele Caruso, Coppola Rossa e Pelorosso seminò violenze e sopprusi nella Valle del Fortore, in Molise e nel Beneventano.

Numerosi furono i ricatti fatti ai possidenti del luogo. Riporto quelli fatti a Saverio e Vincenzo Iamele e quello ai danni di Nicola Cerulli di Celenza Valfortore.

Caro D. Vincenzo

vi saluta tutta la compagnia, lo discambe avete avute e sta per lo porgitore che ci apportate la risposta a noi che ci a dette che voi non ci volete mandare nulla per pranzare, che avete dette che ci dovevamo mangiare le prete e di più la compagnia nel sentire la risposta si è rivoltate tutti intere e dio non ha potuto che fare, io ho sempre rispettate la vostra robba e oggi avete avute queste discambi, non altro sole  vi prego di cacciare le mie sorelle, che se no io le mie compagno distruggi celenze e di nuove vi salute tutte la compagnia e sono il vostro Paesane Titti Varanelli

Al s.e.v. D. Vencenzo Iamele

mandatemi per 40 persono di più mandatemi 6 pacote di sichire di più sei botiglia di risorio di più 10 mazza di cartucia sono il Capitano della Compagnia titì Varanelle

Caro D. Saverio

Al momento, mi dovete mandare la vostra Giumenta quela staca dentro le vostre giumente, e mandate lì come pure mi dovete mandare N° 4 vestiti quali stavano ordinati al tempo del’aria ed il Ricatto fatto di docati mille e la catina d’oro quale deve essere una fuore misura, se poi voi non mandate subito dette oggetti che vi ho chieste vi Roino fino all’ultima stippe in fie vi mando al’elemosina Pardio La mia vita è già deciso. Il comandante segno Varanelli.

 Caro D. Nicola Cerulli

Dumenica a matino mandate a la stretta pe nu iarzone lu cavallo da selle con tutte li uarnimente di più la schiuppetta che porte, di più lo rologio doro colla catena doro, ca sennò vi distrugemo tutte li animali che tenete nella massaria e li mucchi di grano che tenete sopro l’ari, lo discambe de nu mucchio davena è cose da niente, voi che io o sempre rispettate la robba vostre e vi salute tutti li mie compagni e sono il vostro paesane Titti Varanelli.

La sua  avventura terminò il 22 ottobre 1863. In uno scontro a fuoco con la Guardia Nazionale di San Marco La Catola, intervenuta in soccorso dei cittadini di San Bartolomeo in Galdo, fu gravemente ferito alla gola. Pur di non cadere nelle mani delle forze dell’ordine invitò il suo compagno Giovanni Montagano a dargli il colpo di grazia. Non ebbe questa “fortuna”! La guardia nazionale sopraggiunse lo catturò e lo portò a  San Marco per essere processato e fucilato.. La morte per Titta Varanelli sopraggiunse alle ore 23.00 del 22 ottobre 1863 all’età di 21 anni. A San Marco il suo cadavere resta esposto al pubblico dileggio e solo successivamente trasportato nella natia Celenza. Anche nel  paese natio il suo cadavere non ha pace.  Viene tenuto seminudo legato al muro esterno della Cappella di San Rocco  e con i piedi poggiati su un mucchi di sassi. Il macabro spettacolo, che doveva servire da monito per tutti i trasgressori delle leggi del nuovo Regno, dura due giorni e solo al terzo giorno avviene l’inumazione nella zona meridionale del Quoto.

Il bassorilievo raffigurante Titta Varanelli è a San Marco La Catola sulla parete esterna della vecchia casa canonica.

Pochi mesi prima della sua morte c’era stato un tentativo di riconciliazione con le autorità. Titta, conscio presto o tardi sarebbe incappato nelle maglie della giustizia,  aveva valutato la possibilità di porre fine alla vita brigantesca.  Il 30 maggio 1863 ci fu l’incontro con gli Ufficiali della guardia nazionale. L’incontro avvenne nei pressi del Convento di San Francesco e Titta si presentò da solo e cavallo al cospetto delle autorità: i suoi compagni si fermarono appena fuori il paese, nei pressi della neviera.

Le autorità cercarono di convincere Titta Varanelli a sciogliere la banda garantendo l’immunità a lui e ai suoi compagni. In questo modo ognuno poteva fare ritorno alla propria famiglia.

Titta rispose che avrebbe accettato di ritirarsi solo se le garanzie fossero venute dalle più alte autorità: Il Re e il Papa. Finito l’incontro con le autorità il Varanelli si ricongiunse ai suoi ai quali comunicò le proposte ricevute.

Ma i compagni si mostrarono diffidenti , sospettando che si trattasse in realtà di un trucco per catturarli. Cosi lasciarono il paese e ripresero la loro vita di briganti.

Elenco parziale degli insorgenti celenzani fucilati:

FUCILATI

Così ebbe fine la vita di Giambattista Varanelli , brigante per caso. La verità sui fatti della sera del 20 maggio 1861 fu ripristinata solo molto tempo dopo la sua morte. Infatti, il vero autore del delitto, Michelangelo Ambrosiano, emigrato in America, rivelò solo sul letto di morte che era stato lui e non il Varanelli  il responsabile della morte del giovane Vincenzo Montagano.

Vale la pena riportare qui le prime strofe di una canzone popolare che a Celenza si cantava ai tempi dei briganti:

Varanelli

 

Stefano Gesualdi