I collezionisti di ossa

L’area circostante il Molino Dabbasso si è dimostrata negli anni molto “generosa”  nella restituzione   di testimonianza inquadrabili in un ampio arco di tempo che va dal neolitico antico al bronzo finale. Lo studio dei reperti ha consentito di ha consentito di meglio definire la mappa degli insediamenti preistorici  lungo il corso del Fortore, numerosi nelle zone più vicine al mare, ma mai rinvenuti in aree così all’interno.

Le indagini portate avanti dall’Archeoclub di Celenza Valfortore hanno consentito hanno consentito non solo di individuare i vari insediamenti, ma anche di portare alla luce una eccezionale testimonianza archeologica.

Nell’agosto del  1997, sul terrazzo prospiciente il vecchio molino, l’erosione operata dalle acque del lago di Occhito, nel loro ciclico innalzamento e abbassamento, portò alla luce quello che poi sarebbe diventato un eccezionale inutile ritrovamento.

L’intervento della Soprintendenza Archeologica della Puglia consentì le operazioni di scavo che portarono al recupero di un sepolcreto collettivo, datato VI°- V° millennio a.C., formato da una dozzina di soggetti, adulti di entrambi i sessi e anche bambini, deposti nella tipica posizione fetale.

sepoltura

Data l’eccezionalità del ritrovamento si decise per il recupero “in blocco” della sepoltura  e il suo trasferimento  presso l’Università di Pisa per i necessari  esami scientifici.

Le mutate condizioni meteorologiche e le incessanti piogge impedirono  di coordinare le operazioni di  prelievo e di trasporto della sepoltura. Prima che le acque raggiungessero i preziosi reperti si riuscì però  a prelevarli con l’aiuto di un mezzo idoneo e a sistemarli in sicurezza in una zona che non sarebbe stata sommersa dalle acque del lago. Qui, ben avvolta in teli di cellophane, la sepoltura rimase intatta fino a metà marzo del 1998.

1L’ultimo sopralluogo fu fatto due giorni prima della venuta degli esperti della Soprintendenza e il prezioso reperto era intatto. Quando però questi arrivarono lo trovarono semidistrutto. Qualcuno la notte o il giorno precedenti  l’aveva “smontato” pensando di trovare chissà quale tesoro. Chiunque sia stato l’autore del saccheggio certamente non si è reso conto del grave danno che prodotto. Il “tesoro” non era nella sepoltura, ma la sepoltura stessa. Un ritrovamento eccezionale, unico nel suo genere,  tanto da meritare la copertina della rivista “Archeologia”,  e che avrebbe certamente date molte informazioni  di importanza fondamentale per l’archeologia, distrutto per ignoranza o per incoscienza.

Ma la storia non finisce qui! Per tutti questi anni si è pensato che i resti fossero  stati prelevati e portati via dagli uomini della Soprintendenza, ma non è andata così. Senza rispetto per i luoghi del ritrovamento né per gli autori del ritrovamento, un gruppo di aspiranti necrofori, sotto la guida illuminata di un “infiltrato” dal canuto pelo, ha provveduto  a “ripulire” i luoghi contaminati da antiche ossa, ma non per darne degna sepoltura, ma per farli propri. In taluni il desiderio di sentirsi al centro del mondo, di darsi un passato che non hanno mai avuto è superiore anche alle regole di civile convivenza. I complessi di inferiorità sono duri ad essere superati!