Celenza rivoluzionaria, parola di Engels

Geppe Inserra (Lettere Meridiane) scava tra gli scritti di Friedrich Engels quando, in qualità di corrispondente per il New York Tribune, raccontava l’avanzata di Garibaldi. Nell’articolo, datato 21 settembre 1860, è citata anche Cilenta, località a metà strada tra Campobasso e Foggia, ovvero Celenza Valfortore

 

Foggia fu tra le prime città del Regno delle Due Sicilie a sollevarsi, per sostenere l’avanzata di Garibaldi nell’estate del 1860. Ad affermarlo è uno storico d’eccezione: Friedrich Engels.

Dopo aver detto dello sbarco in Sicilia, Engels scrive: “Nel frattempo, come era stato predisposto, avvennero i moti nelle città della provincia napoletana, ed in modo tale che risultò chiaro come il partito rivoluzionario fosse ben organizzato e come il paese fosse maturo per un’insurrezione. Il 17 agosto l’insurrezione scoppiò a Foggia, in Puglia. I dragoni, che costituivano la guarnigione della città, passarono dalla parte del popolo. Il generale Flores, comandante del distretto, inviò due compagnie del 13° reggimento che, appena giunte, fecero la stessa cosa. Allora il generale Flores giunse in persona, accompagnato dal suo stato maggiore, ma non poté far nulla e fu costretto ad andarsene. Questo modo di procedere dimostra che lo stesso Flores non desiderava opporre una seria resistenza al partito rivoluzionario. Se egli avesse voluto far sul serio avrebbe inviato due battaglioni invece di due compagnie, e quando andò in persona avrebbe dovuto farlo alla testa di tutte le forze di cui poteva disporre, invece di farsi aiutare da pochi aiutanti e attendenti. Infatti la sola circostanza che gli insorti gli abbiano permesso di lasciare di nuovo la città è sufficiente a dimostrare che esisteva almeno una tacita intesa.”

Nella storiografia italiana, l’insurrezione più nota è quella di Potenza (di cui Engels scrive subito dopo) che ebbe luogo nello stesso giorno di quella foggiana (o forse qualche ora dopo, come vedremo meglio). Il ruolo di Foggia è attestato anche dalla cartina che potete vedere qui sotto. Engels cita anche un’altra località dauna che passò dalla parte degli insorti: “Celenza in Puglia, che deve essere il luogo chiamato Cilenta nei telegrammi (si trova a mezza strada tra Campobasso e Foggia)”. Si tratta dell’attuale Celenza Valfortore, anche questa evidenziata nella cartina.


La tesi che traspare dalle parole di Engels, e cioè che fu Foggia la prima città del Regno di Napoli è confermata da un testimone oculare, Carlo Villani, che nella sua Cronistoria di Foggia (1848-1870) colloca l’inizio della rivolta un giorno prima, il 16 agosto, in coda alla festa patronale, che nel capoluogo dauno si celebra il 15 e il 16.
Qualche avvisaglia di quel che sarebbe successo si era avuta già la notte del 15, quando subito dopo i fuochi pirotecnici mentre “una calca di gente rincasava, sbucò su per le vie un gruppo di schiamazzatori, frammischiati a parecchi dragoni della guarnigione, che, con grida di abbasso e di evviva, riesci a espandere in essa un panico indescrivibile.”
La stessa scena ebbe a ripetersi il giorno successivo: “la sera del sedici agosto, verso due ore di notte, una folla di dimostranti si recò sotto il palazzo del comandante della provincia colonnello Rispoli, chiamandolo abbasso. E siccome questi trovavasi sulla strada, così, accortisene, lo accerchiarono e, con procedimento ultra-esecutivo, si dettero a batterlo di santa ragione, a tirarne le orecchie, a strappargli i baffi, a martirizzarlo, insomma, come un S.Sebastiano in stereotipa edizione, gridandogli con accento risoluto, che non ammetteva remora o dilazione, di dovere all’ istante liberare Foggia dell’esoso peso della sua persona. (La prosa di Villani è effervescente, vivace, di notevole spessore giornalistico, come vedete, n.d.r.)”.
“L’intendente duca di Bagnoli, in apprendere tal fatto – si legge ancora nella Cronistoria -, ordinò fosse il Rispoli condotto alla sua presenza; il che fu eseguito dal maggiore comandante lo squadrone, il quale con buoni modi cercò di calmare i più riottosi, riuscendo così a liberare il malcapitato. Costui, passato rapidamente dalla morte alla vita, confessò all’intendente di avere egli, con imprevidenza, provocata la folla, ponendo agli arresti i dragoni che nella sera innanzi si erano uniti ai dimostranti, cosa che non era stata approvata neanche dal ministro, il quale con telegramma avea disposto di rimettere coloro in libertà. Egli quindi si vide, perciò, irremissibilmente spacciato, e promise senz’altro di partire l’indomani. Infatti, il giorno dopo, tappatosi nella propria carrozza, con cavalli da posta uscì dal portone di casa Andreana in mezzo ad una salva di fischi, che si ripetettero lungo il percorso sin fuori la città, ove vuolsi gli si abbia dato l’ultimo saluto con sassi, lanciatigli contra, e che caddero, per buona fortuna, sul soffietto della carrozza. La folla, eccitata vie più dalla vittoria riportata su costui, non si sciolse, e, compatta, rifece la via sin sotto i balconi del capo di uffizio dell’ intendenza Giuseppe Sellitti, di cui voleasi far lo stesso mal governo, ma la guardia nazionale, accorsa, arrestò i più facinorosi e mandò alle loro case gli schiamazzatori.”
La testimonianza di Villani sembra sostanzialmente confermare la tesi di Engels secondo cui i rappresentanti dello Stato stavano ormai prendendo le distanze dalla monarchia borbonica. Sintomatico, in tal senso, il parere negativo espresso dal Ministro all’arresto dei dragoni.
Il racconto dell’epilogo dell’insurrezione è un capolavoro di ironia e di sarcasmo. “In mezzo a un sistematico crescendo di atti baldanzosi, di violenze e di tumulti, che irridevano ad ogni freno, e che annunziavano la rivoluzione alle porte, lo stesso duca di Bagnoli dovè pensare fosse giunto, anche per se, il giorno del redde rationem, e, lontano da qualunque accesso di necrofilia, che lo incitasse a gridare il cupio dissolvi del fanatismo cristiano, pensò meglio di mettere in salvo il proprio cuoio, in barba di coloro che avrebbero voluto fargli offesa. Nelle ore pomeridiane del 17 agosto ’60 ei, dunque, si allontanò da Foggia con la sua famiglia, prescegliendo, come prima tappa del suo viaggio, cui certo non volea dar l’aria di una fuga, Bovino, ove sostava per più giorni presso quel sotto-intendente Riola. Oh i topi abbandonavano spontaneamente il vascello, che cominciava a fare acqua da ogni lato !… “
E non è finita qui: “A questo primo colpo di scena ne seguì un altro anche impressionante, e fu la istantanea chiusura del Corpo di guardia della gendarmeria reale, che avea sede sotto il palazzo dell’intendenza. Dicevasi ch’essa dovesse partire, come infatti partì la sera del cinque settembre per Campagna di Eboli, ove accennavasi uno sbarco del generale Garibaldi. E tutto questo disfarsi, da un momento all’altro, del vecchio mondo poliziesco additava ai foggiani il trionfo definitivo della santa causa della libertà anche per la loro contrada. “
E il generale Flores, il cui comportamento era stato particolarmente sottolineato da Engels? Villani fornisce una versione leggermente diversa da quella del filosofo tedesco, ma sostanzialmente concorda sul fatto che il generale stesso non ebbe alcuna volontà di reprimere la rivolta.
“La provincia di Capitanata – scrive Villani – fin dal diciassette agosto, giorno in cui scoppiava la rivoluzione a Corleto (è la località lucana da cui divampò l’insurrezione che poi investì Potenza, n.d.r.) , cominciò man mano a divenir di brace anch’essa, e l’incendio divampò finalmente in tal guisa che la truppa, mandata per domarlo, dovette ritrarsi a mezza via, ed il Flores, questo sincero ed antico appassionato di Casa Borbone, da Bari per raggiungere Ariano, ch’era tutta sollevata per volersi anche colà creare un governo provvisorio, dovette deviare con la sua colonna per Ordona e per altri paeselli sino a Bovino, donde solo potè proseguire a marcia forzata, su per la strada consolare. Ei non solo temeva a ragione le ostilità della cittadinanza foggiana, ma bensì dei dragoni, colà di presidio, che già erano stati guadagnati alla causa della libertà, tanto che questi, per voglia anch’essi di evitare un possibile conflitto, e ignari che il maresciallo avesse pensato da sé di evitare Foggia, si allontanarono quel dì dalla città, facendo credere che partissero per la volta di Salerno, ciò che non era affatto vero, perchè riducevansi invece a Candela.”

L’esilio dei dragoni ribelli, che avevano di fatto innescato l’insurrezione a Foggia durò poco: “mentre, tra gli stemmi abbassati del Borbone, il più gran fermento dominava la piazza, ritornarono, il nove di settembre, da Candela i due squadroni dei dragoni, già in precedenza guadagnati alla santa causa… e Foggia seppe rendere a codesti spontanei soldati della nuova fede il dovuto omaggio, decretando loro il trionfo.”

Geppe Inserra

 

Il pezzo originale, Foggia rivoluzionaria, parola di Engels, è consultabile qui: https://www.letteremeridiane.org/2020/11/foggia-rivoluzionaria-parola-di-engels/

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